
opera in un atto
di Pietro Mascagni
tratto dalla novella di Giovanni Verga
Sofia Janelidze
Santuzza, giovane contadina, fidanzata di Turiddu
Hector Lopez
Turiddu, giovane contadino
Giada Venturini
Lucia, madre di Turiddu
Luca Galli
Alfio, carrettiere, marito di Lola
Chiara Scannapieco
Lola, moglie di Alfio e amante di Turiddu
Carlo Goldstein direttore
Alessandra Premoli regia
Corale Poliziana, Gruppo Corale Le Grazie, Coro Arcadelt
Judy Diodato, Barbara Valdambrini maestri dei cori
Orchestra del 50º Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano
Anna Missaglia costumi
Carla Di Benedetto lighitng designer junior per Guido Levi Lighting Lab
Claudio Coloretti lighitng designer tutor per Guido Levi Lighting Lab
Niccolò Cantara
maestro sostituto
Davide Calvarese, Chiara Cipriani, Viola Solini
maestri di palco
Gaia Battistelli, Vincenzo Gallace
video makers
in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Urbino,
Associazione Amicadonna, Guido Levi Lighting Lab
di Alessandra Premoli
“ N. L. è stato ucciso con una coltellata nella notte di Pasqua in una delle zone più centrali del suo paese, Francofonte (Siracusa). È rimasto a terra nel suo stesso sangue e poco dopo è morto. Dopo 48 ore dall’omicidio le indagini sono a una svolta. Un 22enne è stato fermato. L’ipotesi più accreditata è quella di una lite e di troppo alcol nelle vene di vittima e aggressore. ‘L’ho ucciso per gelosia’, confessa l’omicida.”
Quello che avete appena letto non è una rilettura romanzata della trama dell’opera. È una notizia reale datata 22 aprile 2025.
Conflitto.
Incomunicabilità.
Violenza.
Cavalleria rusticana non parla di un fatto di cronaca isolato nel tempo e nell’etnografia di una Sicilia esotica e remota.
Parla delle nostre ipocrisie, del nostro egoismo, di come ci rifiutiamo di assumerci responsabilità collettive; di come sia la comunità stessa a creare prigioni sociali che condizionano gli individui nelle loro azioni. Una comunità che si lava dei suoi peccati attraverso il rito collettivo (nel caso dell’opera attraverso la messa di Pasqua), ma appena fuori dai confini materici del Sacro, continua a reiterare comportamenti esiziali a se stessa.
Non vedrete alcun tipo di caratterizzazione rustica, nessun elemento pittoresco o rurale in questa messinscena, poiché l’essenza del Verismo non è dipingere con attenzione scrupolosa una scena “come- se-fosse-vera”, né fare recitare “come-se-fosse-vero”. Verismo è comunque rappresentazione, è specchio come ogni altro tipo di teatro. Se questa corrente culturale ha avuto urgenza di esistere come forma d’arte e ancora ci emoziona, è perché sono i temi di cui tratta ad essere veri.
Cavalleria rusticana sopravvive con enorme successo – oltre che per l’innegabile fascino della partitura musicale – perché racconta di temi che riguardano gli ultimi, che riguardano noi. Contiene il nostro lato oscuro, l’ombra che proiettiamo sugli ultimi della terra come se non ci riguardasse, e invece è qui presente e costante nelle nostre vite quotidiane. Un’ombra che può divorare chiunque di noi.
Una comunità che finge di non conoscere i segreti che la percorrono, in nome di una lealtà – la cavalleria appunto, ma oggi diremmo il perbenismo – che permette la reiterazione dei traumi più profondi, quelli invisibili perché sottocutanei, ma sempre presenti e infettanti. Non c’è un solo personaggio in quest’opera che si possa definire innocente. Questa storia non potrebbe finire diversamente nemmeno se si modificassero le sue coordinate narrative. Tutti hanno le loro responsabilità. Come nella vita vera.
Mamma Lucia rifiuta di vedere i comportamenti di suo figlio, Lola preferisce il benessere economico all’amore, Santuzza dà priorità al giudizio sociale piuttosto che alla realtà degli eventi, Turiddu vive nell’immaturità e Alfio infine accetta solo ciò che rientra nei termini di possesso, che siano oggetti o persone.
Ma qualcosa accomuna tutti i personaggi di questa storia: il timore del giudizio, dello sguardo esterno che prevarica sulle loro decisioni e sulle loro esistenze impedendo di vivere liberamente. È più forte l’onore dei sentimenti. È più forte lo sguardo del Collettivo, lo sguardo della comunità in cui si vive, una Società che non perdona e giudica.
Tutti sanno, tutti vedono. Tutti sappiamo, tutti vediamo.
Il Cantiere d’arte internazionale di Montepulciano, presidio culturale e civico, è dunque il luogo migliore per interrogare noi stessi, le nostre coscienze individuali e collettive. Un luogo dove poterlo fare nel modo più bello e umano che conosciamo: attraverso l’Arte.
I 50 anni di attività del Cantiere sono inoltre l’occasione ideale per riprendere e valorizzare i presupposti fondamentali del Manifesto su cui è stato ideata la rassegna.
Accogliendo le proposte degli ideatori, ho voluto dare valore ad alcuni fondamenti attraverso la messinscena che inaugurerà questa edizione. Cantiere innanzitutto “non è un festival di tipo commerciale, ma animazione politico-sociale e culturale”.
Due sono le parole chiave contenute nel Manifesto a cui ho voluto in particolare fare affidamento: Sperimentazione e Comunità. Sperimentare nuove vie di comunicazione artistica, trovare modi vecchi e nuovi di fare della musica. Una messinscena dunque che non si adagi sulla tradizione rassicurante, ma che stimoli attraverso nuovi linguaggi il pubblico sui temi principali dell’opera, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie.
Ma soprattutto una messinscena che abbia come punto di confronto, attore principale e spettatore allo stesso tempo, la Comunità; chiamata, attraverso una collaborazione attiva, a partecipare a questo spettacolo, a interrogarsi su se stessa.
Platea – Intero: 22 euro
Tribuna intero: 16 euro
Per tutti i biglietti acquistati in prevendita, la maggiorazione prevista è di € 1,50
Info e prenotazioni: 0578758473
prevendita@fondazionecantiere.it







Un ringraziamento a


